IL TRIBUNALE 
    Ha emesso  la  seguente  ordinanza  collegiale  nel  procedimento
iscritto al n. 380/2008 R.G. V.G.,  avente  ad  oggetto  ricorso  per
attribuzione di quota di indennita' di fine rapporto ex  art.  12-bis
legge n. 898/1970, promosso da Grasso Grazia, nata a  Mascali  il  26
maggio 1947, res.te in Aci Castello, via  Valastro  n.  21,  elett.te
dom.ta in Catania, via Caronda n. 114,  presso  lo  studio  dell'avv.
Francesca Sciacca, rappresentata e difesa per procura a  margine  del
ricorso introduttivo dall'avv. Giovanni D'Ambra, attrice; 
    Contro Di Luca Luigi, nato ad Aci Castello il 16 maggio 1947,  ed
ivi res.te in via Re Martino n. 120, elett.te dom.to in Catania,  via
Balduino n. 17, presso Io studio dell'avv. Alessia  Falcone,  che  lo
rappresenta e  difende  per  procura  a  margine  della  comparsa  di
costituzione, convenuto. 
    Il Tribunale di Catania, prima sezione civile, riunito in  Camera
di consiglio, esaminati gli atti del procedimento  suddetto,  incoato
ai sensi dell'art. 710 c.p.c., visti i documenti allegati,  udita  la
relazione del giudice relatore, lette le  note  difensive  depositate
dalle  parti  nel  termine  loro  assegnato,  all'esito  dell'udienza
camerale  del  30  settembre  2008,  dispone   la   sospensione   del
procedimento  e  ordina  la  trasmissione  degli  atti   alla   Corte
costituzionale per  la  decisione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898,
introdotto dall'art. 16 della legge n. 74/1987. 
                      Svolgimento del processo 
    Con ricorso depositato in cancelleria in data 20  febbraio  2008,
Grasso Grazia, chiedeva a questo Tribunale, ai sensi dell'art. 12-bis
della legge n. 898/1970, l'accertamento del suo  diritto  alla  quota
dell'indennita' di fine rapporto percepita da Di Luca Luigi  all'atto
della cessazione del rapporto  di  lavoro,  in  misura  pari  al  40%
dell'indennita' totale riferita agli  anni  in  cui  il  rapporto  di
lavoro in misura pari al 40% dell'indennita' totale riferita agl anni
in cui il rapporto di lavoro del coniuge divorziato era coinciso  con
il matrimonio e la condanna del Di Luca al pagamento  in  suo  favore
dell'importo  corrispondente  a  tale  quota,   oltre   interessi   e
rivalutazione dalla domanda al soddisfo. 
    Deduceva a tal  fine  che:  1)  in  data  25  aprile  1974  aveva
contratto matrimonio concordatario con il Di Luca dal quale non erano
nati figli; 2) in data 15 maggio 1996 il Tribunale di  Catania  aveva
omologato la separazione consensuale tra i coniugi; 3)  con  sentenza
depositata in data 3 novembre 2004  il  Tribunale  di  Catania  aveva
pronunziato la cessazione degli effetti civili del matrimonio  tra  i
coniugi, riconoscendole il diritto ad un assegno di divorzio pari  ad
€ 1200,00 mensili da rivalutarsi  annualmente;  4)  il  marito  aveva
prestato la  propria  attivita'  lavorativa  alle  dipendenze  di  un
istituto di credito dal 1969 al 2006 allorquando era stato  collocato
in  pensione  percependo  la  indennita'  di  fine  rapporto;  5)  il
matrimonio era durato trenta anni ed essa ricorrente aveva  mantenuto
lo stato libero. 
    Chiedeva, quindi,  previa  esatta  determinazione  dell'ammontare
della quota ad essa spettante, la liquidazione in  suo  favore  della
quota di T.F.R. percepita dall'ex coniuge da  effettuarsi  in  misura
del quaranta per cento in relazione agli anni di  durata  legale  del
matrimonio, oltre accessori, con il favore delle spese. 
    Fissata l'udienza  di  comparizione  delle  parti  da  parte  del
presidente del tribunale, e notificato  ritualmente  il  ricorso,  si
costituiva nel procedimento il resistente Di  Luca  Luigi,  il  quale
premetteva di aver maturato nei confronti della ricorrente ragioni di
credito per la somma complessiva di 26.923,94 che aveva in  animo  di
opporre in compensazione, e, con specifico riferimento  alla  domanda
di determinazione della quota di T.F.R., -  che  dichiarava  di  aver
effettivamente  percepito  nella  misura  di  €  97.668,26  netti,  -
chiedeva  calcolarsi  la  quota  spettante  al   coniuge   divorziato
esclusivamente con riferimento agli anni di effettiva convivenza  tra
i  coniugi,  anziche'  con  riferimento  alla   durata   legale   del
matrimonio, previa eventuale  rimessione  alla  Corte  costituzionale
della questione di legittimita' costituzionalita'  dell'art.  12-bis,
legge n. 898/1970, interpretato  secondo  l'orientamento  consolidato
nella giurisprudenza di legittimita', per contrasto con gli artt. 3 e
23 della Costituzione; deduceva che il  rapporto  lavorativo,  durato
nel complesso 37 anni, doveva ritenersi coincidente con il matrimonio
inteso quale effettiva convivenza tra i coniugi solo per 22  anni,  e
cioe' dal 1974 al 1996 epoca della omologazione della separazione,  e
che la quota spettante  al  coniuge  era  pari  ad  €  23.923,21  che
chiedeva di compensare con il suo  credito;  deduceva,  altresi',  di
percepire, dopo il collocamento a riposo, una pensione di €  2.789,00
mensili circa, a fronte di uno stipendio di € 3.507,61  percepito  al
momento del divorzio e della determinazione dell'assegno  divorziale;
deduceva che si era verificata una consistente riduzione  reddituale,
e di aver contratto nuove nozze dopo il  divorzio  creando  un  nuovo
nucleo  familiare  nei  cui  confronti  aveva  obblighi   legali   di
mantenimento e contribuzione ai  bisogni  della  famiglia;  chiedeva,
preliminarmente, la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale
per la  decisione  in  ordine  questione  di  legittimita'  dell'art.
12-bis, legge n. 898/70; nel merito,  ferma  ed  impregiudicata  ogni
azione di ripetizione nei confronti della Grasso, chiedeva accertarsi
la quota di T.F.R. spettante alla moglie  divorziata,  con  esclusivo
riferimento alla durata  della  convivenza;  in  via  riconvenzionale
chiedeva la riduzione dell'assegno di divorzio spettante alla Grasso,
atteso il peggioramento delle sue  condizioni  patrimoniali,  con  il
favore delle spese. 
    Disposta la  comparizione  delle  parti,  acquisiti  i  documenti
offerti in comunicazione e viste le note depositate  all'udienza  del
30 settembre 2008, il giudice delegato rimetteva gli atti  in  Camera
di consiglio. 
                       Motivi della decisione 
    La questione di costituzionalita' dell'art. 12-bis della legge n.
898/1970, introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74,  -
sia sotto il profilo espressamente prospettato dalla parte resistente
sia sotto ulteriori profili suscettibili di rilievo  anche  officioso
-, ad avviso del Collegio, e' rilevante ai fini della decisione e non
appare manifestamente infondata. 
    Per  quanto  attiene   alla   rilevanza   della   questione   nel
procedimento camerale in esame, osserva il tribunale che, in punto di
fatto, e' documentalmente provato ed e'  incontroverso  inter  partes
che la ricorrente, e' coniuge  divorziata,  titolare  di  assegno  di
divorzio al momento del collocamento in pensione del coniuge e  della
riscossione del T.F.R., e non passata a nuove nozze. 
    Sussistono, pertanto, tutti gli elementi di fattispecie  previsti
dall'art. 12-bis della legge n. 898/1970, invocato dalla  ricorrente,
che e',  all'evidenza,  la  norma  direttamente  applicabile  per  la
soluzione della controversia insorta inter partes  ed  immediatamente
rilevante ai fini della decisione. 
    Ne deriva che la verifica  relativa  alla  sua  conformita'  alla
Costituzione Repubblicana, e segnatamente ai principi contenuti negli
artt. 3, 29, 38 e 47 Cost., e' manifestamente rilevante nel  giudizio
a quo. 
    Cio' posto in punto di rilevanza, va osservato  che,  per  quanto
attiene alla non manifesta infondatezza della  questione,  ad  avviso
del collegio, la norma  in  esame,  gia'  nella  sua  intera  portata
precettiva, appare suscettibile di contrasto sia con l'art.  3  della
Costituzione  per  violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza, sia con l'art. 29 della Costituzione, per  violazione
dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sui  quali
e'  ordinato  l'istituto  del  matrimonio  nel  vigente   ordinamento
giuridico, sia, infine, con i principi dettati a tutela previdenziale
dei lavoratori  dipendenti  e  del  risparmio  oggetto  di  copertura
costituzionale ai sensi degli artt. 38 e 47 Cost. 
    Com'e'   noto,   il   legislatore   del   1987,   nel   prevedere
l'attribuzione di una  quota  dell'indennita'  di  fine  rapporto  al
coniuge divorziato titolare di assegno e non passato a  nuove  nozze,
ha tenuto  conto  sia  di  profili  assistenzialistici,  evidenziati,
appunto, dal fatto che il coniuge beneficiario  deve  esser  titolare
dell'assegno  di  divorzio,  sia   di   profili   compensativi,   con
riferimento al contributo personale ed economico dato dall'ex coniuge
alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. 
    Tuttavia, la formulazione letterale  della  norma,  sia  pure  in
considerazione di tale duplice ratio  legis,  e  soprattutto  la  sua
interpretazione  giurisprudenziale  ormai  consolidata,  -  tanto  da
potersi considerare vero e proprio esempio di c.d. diritto vivente, -
non  consentono,  ad  avviso  del  Collegio,  di  superare,  in   via
interpretativa, alcuni seri dubbi di costituzionalita'  dell'istituto
in esame, peraltro puntualmente registrati dalla dottrina  e  da  una
parte  della  giurisprudenza,  che  non  sono  mai  stati  sottoposti
all'esame nel merito della Corte costituzionale. 
    Va, invero, osservato che, - pur  nella  doverosa  considerazione
della duplice funzione  assistenziale  e  compensativa  sottesa  alla
norma in esame, - l'art. 12-bis legge piu'  volte  richiamata  sembra
disciplinare in modo diseguale la posizione di soggetti in  posizioni
del  tutto  analoghe,  sotto   almeno   due   distinti   profili,   e
segnatamente: 
        A) in relazione al tipo di lavoro autonomo ovvero  dipendente
che abbiano svolto nella loro vita lavorativa i soggetti obbligati; 
        B)  nell'ambito  della  medesima  categoria  dei   lavoratori
dipendenti, tra coniugi separati e coniugi divorziati,  in  relazione
al momento storico in cui il soggetto obbligato cessi il suo rapporto
di lavoro, e cioe' prima o dopo il divorzio. 
        Sub A) Sotto il primo profilo, invero,  poiche'  e'  pacifico
che la norma puo' trovare applicazione soltanto  con  riferimento  ai
lavoratori dipendenti, emerge un  profilo  d'incostituzionalita'  per
disparita' di trattamento  tra  situazioni  analoghe,  in  quanto  la
situazione di obiettiva  diversita'  sussistente  tra  il  lavoratore
dipendente  e  l'imprenditore  o  gli  altri   lavoratori   autonomi,
sicuramente rilevante  ad  altri  fini,  non  sembra  ragionevolmente
giustificare che, in caso di divorzio, tali soggetti debbano assumere
nei confronti dei loro ex coniugi diritti e doveri differenziati,  in
contrasto con gli artt. 3, 29, 38 e 47 Cost. 
    In particolare, non appare convincente  l'argomentazione  che  fa
leva  sulla  natura  di   retribuzione   differita   tradizionalmente
riconosciuta al T.F.R., e quindi sulla considerazione che i  proventi
dell'imprenditore  sarebbero  immediatamente   percepiti   e   goduti
dall'intera famiglia, mentre  la  quota  del  trattamento  economico,
maturata in costanza di rapporto di lavoro dipendente ed  accantonata
forzosamente  per  legge,  legittimerebbe  il  coniuge  divorziato  a
fruirne ex post  perche'  ha  contribuito  alla  formazione  di  tale
trattamento con conseguente sua partecipazione  anche  alla  funzione
previdenziale del T.F.R. 
    Tali considerazioni, invero, ad avviso del Collegio, non appaiono
sufficienti per superare la denunziata disparita' di trattamento  tra
situazioni analoghe in cui versano i soggetti obbligati. 
    Va, invero, osservato che, secondo la giurisprudenza piu' recente
del  S.C.,  al  T.F.R.   va   riconosciuta   una   natura   giuridica
necessariamente composita, atteso che, dopo l'entrata in vigore della
riforma del 1982, il legislatore, pur ribadendo che tale  prestazione
ha  natura  contributiva  in  funzione  latu   sensu   previdenziale,
rilevante ex art.  38  Cost.,  ha,  altresi',  evidenziato  anche  la
concorrente natura di risparmio forzoso  dell'accantonamento  operato
in  favore  del  lavoratore,  (si  pensi  alle  norme  relative  alle
modalita' di applicazione degli interessi e  della  rivalutazione,  a
quelle particolarmente restrittive, a  tutela  delle  esigenze  delle
imprese, sulle anticipazioni  in  caso  di  particolari  bisogni  del
lavoratore), tanto che lo stesso legislatore, in considerazione della
previsione costituzionale sulla  tutela  del  risparmio,  oggetto  di
copertura costituzionale ex art. 47, primo comma Cost., ha  delineato
un sistema tale da garantire la soddisfazione integrale  dei  diritti
maturati  dai  lavoratori  in  presenza  della   crisi   dell'impresa
prevedendo l'intervento dell'INPS (Cass. 23 maggio 2001, n. 4261). 
    A fronte di cio', si registra un'evoluzione normativa del sistema
volta ad incentivare  in  misura  sempre  maggiore  forme  di  tutela
previdenziale  di  carattere   privato   per   imprenditori,   liberi
professionisti ed altre categorie produttive diverse  dai  lavoratori
dipendenti, che costituiscono anch'esse forme miste di risparmio e di
previdenza,  che,  se  poste  in  esser  in   costanza   della   vita
matrimoniale, sottraggono anch'esse una quota del reddito  da  lavoro
all'immediata fruizione della famiglia, per di piu' per una scelta di
carattere del tutto volontaria rimessa  alla  discrezionalita'  dello
stesso lavoratore autonomo. 
    Ne deriva che non appare in  alcun  modo  ragionevole,  oltre  ad
esser   in   evidente   contrasto   con   la   natura   assistenziale
dell'istituto, la previsione normativa del  diritto  all'attribuzione
della quota del T.F.R. soltanto in favore del coniuge  divorziato  da
un soggetto lavoratore dipendente, e non gia' a  favore  del  coniuge
divorziato da un soggetto imprenditore  o  libero  professionista,  i
primi dei quali soltanto,  peraltro,  sono  destinati  a  subire  una
decurtazione di parte del trattamento previdenziale loro spettante  e
del loro risparmio peraltro forzoso ed imposto per legge. 
        B) Sotto il secondo profilo, va  osservato  che,  secondo  la
giurisprudenza del tutto consolidata del S.C.,  il  coniuge  separato
non puo'  vantare  alcun  diritto  in  ordine  al  T.F.R.  che  venga
percepito dall'altro coniuge in costanza di separazione e  prima  del
divorzio,  perche'  la  norma  limita  l'applicazione   dell'istituto
soltanto a favore dei soggetti il cui matrimonio  risulti  sciolto  o
cessato negli  effetti  civili  in  virtu'  di  sentenza  passata  in
giudicato, sicche' la quota dell'indennita'  di  fine  rapporto  puo'
spettare al coniuge separato al piu'  allorquando  al  momento  della
maturazione del diritto sia pendente il procedimento di divorzio, per
il principio di retrodatazione degli effetti della  domanda,  ma  non
gia' allorquando l'indennita'  sia  maturata  e  percepita  in  epoca
anteriore alla pendenza del processo di  divorzio  (Cass.  1999/5553;
Cass. 2003/19309). 
    Emerge, quindi, un ulteriore profilo di incostituzionalita' della
norma, cosi' come interpretata nel diritto vivente, che, non soltanto
si pone in netto contrasto con la ratio compensativa dell'istituto in
esame, ma che appare tanto piu' irragionevole, atteso che si  esclude
il coniuge separato dal godimento della quota  del  T.F.R.  spettante
all'altro coniuge, proprio in un momento storico in cui il matrimonio
non e'ancora venuto  meno,  sicche'  persistono  alcuni  obblighi  di
solidarieta' coniugale tra i coniugi sicuramente maggiori rispetto  a
quelli di mera solidarieta' post coniugale che residuano tra  gli  ex
coniugi in seguito al divorzio. 
    Non appare agevole,  invero,  giustificare  lo  snaturamento  del
rapporto di collaborazione economica  dei  coniugi,  con  conseguente
esclusione delle reciproche aspettative patrimoniali nell'ipotesi  in
cui le somme percepite a titolo di T.F.R. siano maturate allorche'  i
coniugi sebbene non ancora divorziati siano gia' legalmente separati,
tant'e' che la stessa Corte costituzionale, investita del problema in
una  prospettiva  inversa  a  quella   prospettata,   ha   dichiarato
inammissibile  la   questione   di   costituzionalita',   in   quanto
richiedente  una  pronunzia  additiva  su  materia   riservata   alla
discrezionalita' del legislatore (Corte cost. ord. 463/2002). 
    Ne' in senso  contrario  appaiono  risolutive  le  considerazioni
relative all'eventuale esistenza del regime di comunione legale tra i
coniugi, che e' destinato a sciogliersi, atteso che, a tacer d'altro,
i coniugi in costanza di matrimonio possono liberamente optare per un
diverso regime patrimoniale, sicche' il tipo di  regime  patrimoniale
adottato dai coniugi resta del tutto neutro ed  irrilevante  rispetto
alla denunziata disparita' di trattamento. 
    Sussiste, quindi, una  diversita'  di  disciplina  normativa  per
situazioni che, ad avviso del Collegio, appaiono del tutto  analoghe,
con  riferimento  alla  medesima  categoria  del  tutto  omogenea  di
soggetti obbligati, correlata ad un fatto del tutto casuale,  qual'e'
il momento storico della  cessazione  in  concreto  del  rapporto  di
lavoro da parte del  coniuge  obbligato  che  puo'  esser  del  tutto
svincolato dalle vicende della  crisi  del  matrimonio  per  le  piu'
disparate ragioni. 
    Cio' premesso, osserva il tribunale che, in via gradata, anche il
piu'   limitato    profilo    d'incostituzionalita',    espressamente
prospettato  dal  resistente  nel  giudizio   a   quo,   non   appare
manifestamente infondato. 
    Va, invero, osservato che puo' profilarsi un ulteriore dubbio  di
costituzionalita' della  norma  in  esame  per  violazione  di  tutti
principi sopra evidenziati, anche con riferimento  al  piu'  limitato
problema relativo alla predeterminazione in misura fissa della  quota
dell'indennita' di fine  rapporto  spettante  al  coniuge  divorziato
titolare di assegno, e con riferimento all'interpretazione, ormai del
tutto consolidata, del concetto di durata del matrimonio. 
    Com'e' noto, per un verso, il legislatore  ha  predeterminato  in
percentuale fissa la misura dell'indennita', senza  consentire  alcun
intervento  correttivo  al  giudice  di  merito,  cui  resta  inibito
ponderare le contrapposte situazioni economiche dell'obbligato e  del
beneficiario, in  contrasto  con  la  finalita'  assistenziale  della
norma, ed a differenza di quanto normalmente accade nella materia del
diritto di famiglia, ove la tecnica normativa  di  regola  utilizzata
dal legislatore lascia ampio spazio alla discrezionalita' del giudice
proprio a fronte della complessita' e varieta' dei  casi  concreti  e
della  necessita'  di  ponderare  eventuali   contrapposte   esigenze
egualmente   meritevoli   di   tutela   giuridica   (discrezionalita'
particolarmente valorizzata da ultimo da Corte cost. 30 luglio  2008.
n.  308).  Ed   e'   altrettanto   noto,   per   altro   verso,   che
l'interpretazione assolutamente prevalente del concetto di durata del
matrimonio  e'  nel  senso  di  ricomprendervi  anche   il   periodo,
successivo alla cessazione della convivenza, che va dalla separazione
sino al passaggio in giudicato della pronunzia di divorzio,  sicche',
- anche in considerazione della funzione nomofilattica attribuita  al
supremo Collegio, - non appare consentita al giudice  di  merito  una
diversa opzione interpretativa e costituzionalmente orientata. 
    Ne deriva che, a fronte della predeterminazione in  misura  fissa
della quota riferita, per di piu', anche al periodo  successivo  alla
cessazione  della  convivenza,  possono  verificarsi   ingiustificate
parificazioni tra situazioni diverse,  attribuendosi  all'ex  coniuge
una percentuale dell'indennita'  del  tutto  sproporzionata  rispetto
alla contribuzione alla conduzione della famiglia, specie laddove non
siano nati figli dal matrimonio, - come e' avvenuto nel caso  oggetto
del giudizio a quo, - e situazioni di vero e  proprio  ingiustificato
arricchimento del coniuge beneficiario a danno  dell'obbligato,  come
ben puo' accadere laddove il divorzio venga pronunziato  molto  tempo
dopo la separazione, - com'e' avvenuto anche  nel  caso  oggetto  del
giudizio  a  quo,  -  ovvero  nel  caso  in  cui   il   beneficiario,
contestualmente al maturare del diritto alla quota di T.F.R. venga  a
godere anch'esso del proprio T.F.R. o di qualunque  altro  incremento
patrimoniale esterno. 
    Situazioni che possono comportare un  sottrazione  al  lavoratore
dipendente, - e per quanto sopradetto soltanto a quest'ultimo,  -  di
parte del suo trattamento previdenziale e del suo  risparmio  forzoso
priva  di  giustificazione  perche'  svincolata  dalla   solidarieta'
economica tra i coniugi e che appaiono  suscettibili  di  trovare  un
correttivo soltanto meramente indiretto e parziale nella possibilita'
di chiedere una riduzione dell'assegno di divorzio. 
    Il tribunale non ignora che  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 12-bis prospettata dal Tribunale di Roma sotto  un  profilo
del  tutto  analogo  e'  gia'  stata  sottoposta  allo  scrutinio  di
costituzionalita'  e  che  la  Corte   costituzionale,   chiamata   a
pronunziarsi sul denunziato profilo  d'incostituzionalita'  dell'art.
12-bis, legge n. 898/1970 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., ha
dichiarato infondata la questione (Corte cost.  sentenza  n.  21  del
1991). 
    In particolare, secondo tale ormai risalente  pronunzia,  poiche'
la  cessazione  della  convivenza  non  comporta  immediatamente   ed
automaticamente il totale venir  meno  della  comunione  materiale  e
spirituale di vita, e poiche' il contributo alla conduzione familiare
ed alla formazione del patrimonio personale e  comune  non  solo  non
cessa con la separazione ma spesso esso aumenta, specie nel  caso  in
cui  al  coniuge  piu'  debole  siano  stati  affidati  i  figli  con
conseguente aumento della responsabilita'  e  venir  meno  di  quella
materiale collaborazione che poteva pervenirgli  dall'altro  coniuge,
la  disciplina  dettata  dall'art.  12-bis  piu'  volte   citato   si
sottrarrebbe alla censure  prospettate,  in  vista  della  prevalente
funzione compensativa sottesa alla norma  ed  avendo  il  legislatore
privilegiato esigenze di certezza ai fini della quantificazione della
quota,  potendo  eventuali  residuali  situazioni  di  disparita'  di
trattamento  trovare  rimedio  nella   disciplina   della   revisione
dell'assegno. 
    Ritiene, tuttavia, il collegio che sussistano nuove  ragioni  per
sottoporre allo scrutinio di costituzionalita' la  norma  piu'  volte
citata, non soltanto alla luce dell'evoluzione sociale  ed  economica
verificatasi negli ultimi anni nel paese, ma  soprattutto  alla  luce
dell'evoluzione normativa registratasi nell'ordinamento  italiano  in
seguito all'entrata in vigore della legge n.  54  /2006  in  tema  di
affidamento condiviso della prole minore. 
    Com'e' noto invero, dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge  n.
54/2006 il regime ordinario di  affidamento  della  prole  minore  e'
quello dell'affidamento condiviso ad entrambi i  genitori,  in  vista
della tutela del c.d. diritto alla bigenitorialita' dei  minori,  che
puo' esser  derogato  soltanto  in  presenza  di  specifiche  ragioni
ostative nell'interesse esclusivo della stessa prole minore. 
    Entrambi i genitori sono,  pertanto,  oggi  chiamati  alla  piena
condivisione della  responsabilita'  nella  cura  ed  educazione  dei
minori ed all'esercizio congiunto della potesta'. 
    Ne deriva che buona parte delle ragioni sottese allo scrutinio di
ragionevolezza della norma in esame, positivamente  effettuato  della
Corte costituzionale nella pronunzia emessa nel 1991,  -  allorquando
il caso paradigmatico era effettivamente costituito  dall'affidamento
esclusivo della prole minore alla madre quale coniuge piu' debole,  -
sono destinate a venir meno, essendo  stato  integralmente  ribaltato
dal legislatore del 2006 il criterio ordinario di  affidamento  della
prole minore e dovendo  ritenersi  ormai  quanto  meno  paritario  il
contributo  dei  coniugi,  pur  in  costanza  della  crisi  del  loro
matrimonio, alla cura  ed  alla  responsabilita'  nei  confronti  dei
figli, dovere che, peraltro, trova diretto fondamento nel rapporto di
filiazione piu' che nei doveri matrimoniali. 
    Ne deriva che, specie  a  fronte  del  mutamento  legislativo  da
ultimo verificatosi, sia la predeterminazione della quota  in  misura
fissa sia l'ancorare al  concetto  di  durata  del  matrimonio,  come
interpretato alla stregua del c.d. diritto vivente, la determinazione
quantitativa  della  quota   del   T.F.R.   spettante   al   coniuge,
indipendentemente  dalla  possibilita'  di  qualsivoglia  valutazione
concreta  del  contributo  effettivamente  prestato  alla  conduzione
familiare da parte del giudice di merito, non appare ragionevole. 
    Conclusivamente,  la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.
12-bis, della legge n. 898/1970, per contrasto con  gli  articoli  3,
29, 38 e 47 della Costituzione, sotto tutti  i  profili  prospettati,
non appare manifestamente infondata ed il  procedimento  a  quo  deve
essere sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per
la decisione.