IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza collegiale nel procedimento iscritto al n. 380/2008 R.G. V.G., avente ad oggetto ricorso per attribuzione di quota di indennita' di fine rapporto ex art. 12-bis legge n. 898/1970, promosso da Grasso Grazia, nata a Mascali il 26 maggio 1947, res.te in Aci Castello, via Valastro n. 21, elett.te dom.ta in Catania, via Caronda n. 114, presso lo studio dell'avv. Francesca Sciacca, rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso introduttivo dall'avv. Giovanni D'Ambra, attrice; Contro Di Luca Luigi, nato ad Aci Castello il 16 maggio 1947, ed ivi res.te in via Re Martino n. 120, elett.te dom.to in Catania, via Balduino n. 17, presso Io studio dell'avv. Alessia Falcone, che lo rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione, convenuto. Il Tribunale di Catania, prima sezione civile, riunito in Camera di consiglio, esaminati gli atti del procedimento suddetto, incoato ai sensi dell'art. 710 c.p.c., visti i documenti allegati, udita la relazione del giudice relatore, lette le note difensive depositate dalle parti nel termine loro assegnato, all'esito dell'udienza camerale del 30 settembre 2008, dispone la sospensione del procedimento e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898, introdotto dall'art. 16 della legge n. 74/1987. Svolgimento del processo Con ricorso depositato in cancelleria in data 20 febbraio 2008, Grasso Grazia, chiedeva a questo Tribunale, ai sensi dell'art. 12-bis della legge n. 898/1970, l'accertamento del suo diritto alla quota dell'indennita' di fine rapporto percepita da Di Luca Luigi all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, in misura pari al 40% dell'indennita' totale riferita agli anni in cui il rapporto di lavoro in misura pari al 40% dell'indennita' totale riferita agl anni in cui il rapporto di lavoro del coniuge divorziato era coinciso con il matrimonio e la condanna del Di Luca al pagamento in suo favore dell'importo corrispondente a tale quota, oltre interessi e rivalutazione dalla domanda al soddisfo. Deduceva a tal fine che: 1) in data 25 aprile 1974 aveva contratto matrimonio concordatario con il Di Luca dal quale non erano nati figli; 2) in data 15 maggio 1996 il Tribunale di Catania aveva omologato la separazione consensuale tra i coniugi; 3) con sentenza depositata in data 3 novembre 2004 il Tribunale di Catania aveva pronunziato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi, riconoscendole il diritto ad un assegno di divorzio pari ad € 1200,00 mensili da rivalutarsi annualmente; 4) il marito aveva prestato la propria attivita' lavorativa alle dipendenze di un istituto di credito dal 1969 al 2006 allorquando era stato collocato in pensione percependo la indennita' di fine rapporto; 5) il matrimonio era durato trenta anni ed essa ricorrente aveva mantenuto lo stato libero. Chiedeva, quindi, previa esatta determinazione dell'ammontare della quota ad essa spettante, la liquidazione in suo favore della quota di T.F.R. percepita dall'ex coniuge da effettuarsi in misura del quaranta per cento in relazione agli anni di durata legale del matrimonio, oltre accessori, con il favore delle spese. Fissata l'udienza di comparizione delle parti da parte del presidente del tribunale, e notificato ritualmente il ricorso, si costituiva nel procedimento il resistente Di Luca Luigi, il quale premetteva di aver maturato nei confronti della ricorrente ragioni di credito per la somma complessiva di 26.923,94 che aveva in animo di opporre in compensazione, e, con specifico riferimento alla domanda di determinazione della quota di T.F.R., - che dichiarava di aver effettivamente percepito nella misura di € 97.668,26 netti, - chiedeva calcolarsi la quota spettante al coniuge divorziato esclusivamente con riferimento agli anni di effettiva convivenza tra i coniugi, anziche' con riferimento alla durata legale del matrimonio, previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionalita' dell'art. 12-bis, legge n. 898/1970, interpretato secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimita', per contrasto con gli artt. 3 e 23 della Costituzione; deduceva che il rapporto lavorativo, durato nel complesso 37 anni, doveva ritenersi coincidente con il matrimonio inteso quale effettiva convivenza tra i coniugi solo per 22 anni, e cioe' dal 1974 al 1996 epoca della omologazione della separazione, e che la quota spettante al coniuge era pari ad € 23.923,21 che chiedeva di compensare con il suo credito; deduceva, altresi', di percepire, dopo il collocamento a riposo, una pensione di € 2.789,00 mensili circa, a fronte di uno stipendio di € 3.507,61 percepito al momento del divorzio e della determinazione dell'assegno divorziale; deduceva che si era verificata una consistente riduzione reddituale, e di aver contratto nuove nozze dopo il divorzio creando un nuovo nucleo familiare nei cui confronti aveva obblighi legali di mantenimento e contribuzione ai bisogni della famiglia; chiedeva, preliminarmente, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in ordine questione di legittimita' dell'art. 12-bis, legge n. 898/70; nel merito, ferma ed impregiudicata ogni azione di ripetizione nei confronti della Grasso, chiedeva accertarsi la quota di T.F.R. spettante alla moglie divorziata, con esclusivo riferimento alla durata della convivenza; in via riconvenzionale chiedeva la riduzione dell'assegno di divorzio spettante alla Grasso, atteso il peggioramento delle sue condizioni patrimoniali, con il favore delle spese. Disposta la comparizione delle parti, acquisiti i documenti offerti in comunicazione e viste le note depositate all'udienza del 30 settembre 2008, il giudice delegato rimetteva gli atti in Camera di consiglio. Motivi della decisione La questione di costituzionalita' dell'art. 12-bis della legge n. 898/1970, introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74, - sia sotto il profilo espressamente prospettato dalla parte resistente sia sotto ulteriori profili suscettibili di rilievo anche officioso -, ad avviso del Collegio, e' rilevante ai fini della decisione e non appare manifestamente infondata. Per quanto attiene alla rilevanza della questione nel procedimento camerale in esame, osserva il tribunale che, in punto di fatto, e' documentalmente provato ed e' incontroverso inter partes che la ricorrente, e' coniuge divorziata, titolare di assegno di divorzio al momento del collocamento in pensione del coniuge e della riscossione del T.F.R., e non passata a nuove nozze. Sussistono, pertanto, tutti gli elementi di fattispecie previsti dall'art. 12-bis della legge n. 898/1970, invocato dalla ricorrente, che e', all'evidenza, la norma direttamente applicabile per la soluzione della controversia insorta inter partes ed immediatamente rilevante ai fini della decisione. Ne deriva che la verifica relativa alla sua conformita' alla Costituzione Repubblicana, e segnatamente ai principi contenuti negli artt. 3, 29, 38 e 47 Cost., e' manifestamente rilevante nel giudizio a quo. Cio' posto in punto di rilevanza, va osservato che, per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, ad avviso del collegio, la norma in esame, gia' nella sua intera portata precettiva, appare suscettibile di contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, sia con l'art. 29 della Costituzione, per violazione dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sui quali e' ordinato l'istituto del matrimonio nel vigente ordinamento giuridico, sia, infine, con i principi dettati a tutela previdenziale dei lavoratori dipendenti e del risparmio oggetto di copertura costituzionale ai sensi degli artt. 38 e 47 Cost. Com'e' noto, il legislatore del 1987, nel prevedere l'attribuzione di una quota dell'indennita' di fine rapporto al coniuge divorziato titolare di assegno e non passato a nuove nozze, ha tenuto conto sia di profili assistenzialistici, evidenziati, appunto, dal fatto che il coniuge beneficiario deve esser titolare dell'assegno di divorzio, sia di profili compensativi, con riferimento al contributo personale ed economico dato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. Tuttavia, la formulazione letterale della norma, sia pure in considerazione di tale duplice ratio legis, e soprattutto la sua interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata, - tanto da potersi considerare vero e proprio esempio di c.d. diritto vivente, - non consentono, ad avviso del Collegio, di superare, in via interpretativa, alcuni seri dubbi di costituzionalita' dell'istituto in esame, peraltro puntualmente registrati dalla dottrina e da una parte della giurisprudenza, che non sono mai stati sottoposti all'esame nel merito della Corte costituzionale. Va, invero, osservato che, - pur nella doverosa considerazione della duplice funzione assistenziale e compensativa sottesa alla norma in esame, - l'art. 12-bis legge piu' volte richiamata sembra disciplinare in modo diseguale la posizione di soggetti in posizioni del tutto analoghe, sotto almeno due distinti profili, e segnatamente: A) in relazione al tipo di lavoro autonomo ovvero dipendente che abbiano svolto nella loro vita lavorativa i soggetti obbligati; B) nell'ambito della medesima categoria dei lavoratori dipendenti, tra coniugi separati e coniugi divorziati, in relazione al momento storico in cui il soggetto obbligato cessi il suo rapporto di lavoro, e cioe' prima o dopo il divorzio. Sub A) Sotto il primo profilo, invero, poiche' e' pacifico che la norma puo' trovare applicazione soltanto con riferimento ai lavoratori dipendenti, emerge un profilo d'incostituzionalita' per disparita' di trattamento tra situazioni analoghe, in quanto la situazione di obiettiva diversita' sussistente tra il lavoratore dipendente e l'imprenditore o gli altri lavoratori autonomi, sicuramente rilevante ad altri fini, non sembra ragionevolmente giustificare che, in caso di divorzio, tali soggetti debbano assumere nei confronti dei loro ex coniugi diritti e doveri differenziati, in contrasto con gli artt. 3, 29, 38 e 47 Cost. In particolare, non appare convincente l'argomentazione che fa leva sulla natura di retribuzione differita tradizionalmente riconosciuta al T.F.R., e quindi sulla considerazione che i proventi dell'imprenditore sarebbero immediatamente percepiti e goduti dall'intera famiglia, mentre la quota del trattamento economico, maturata in costanza di rapporto di lavoro dipendente ed accantonata forzosamente per legge, legittimerebbe il coniuge divorziato a fruirne ex post perche' ha contribuito alla formazione di tale trattamento con conseguente sua partecipazione anche alla funzione previdenziale del T.F.R. Tali considerazioni, invero, ad avviso del Collegio, non appaiono sufficienti per superare la denunziata disparita' di trattamento tra situazioni analoghe in cui versano i soggetti obbligati. Va, invero, osservato che, secondo la giurisprudenza piu' recente del S.C., al T.F.R. va riconosciuta una natura giuridica necessariamente composita, atteso che, dopo l'entrata in vigore della riforma del 1982, il legislatore, pur ribadendo che tale prestazione ha natura contributiva in funzione latu sensu previdenziale, rilevante ex art. 38 Cost., ha, altresi', evidenziato anche la concorrente natura di risparmio forzoso dell'accantonamento operato in favore del lavoratore, (si pensi alle norme relative alle modalita' di applicazione degli interessi e della rivalutazione, a quelle particolarmente restrittive, a tutela delle esigenze delle imprese, sulle anticipazioni in caso di particolari bisogni del lavoratore), tanto che lo stesso legislatore, in considerazione della previsione costituzionale sulla tutela del risparmio, oggetto di copertura costituzionale ex art. 47, primo comma Cost., ha delineato un sistema tale da garantire la soddisfazione integrale dei diritti maturati dai lavoratori in presenza della crisi dell'impresa prevedendo l'intervento dell'INPS (Cass. 23 maggio 2001, n. 4261). A fronte di cio', si registra un'evoluzione normativa del sistema volta ad incentivare in misura sempre maggiore forme di tutela previdenziale di carattere privato per imprenditori, liberi professionisti ed altre categorie produttive diverse dai lavoratori dipendenti, che costituiscono anch'esse forme miste di risparmio e di previdenza, che, se poste in esser in costanza della vita matrimoniale, sottraggono anch'esse una quota del reddito da lavoro all'immediata fruizione della famiglia, per di piu' per una scelta di carattere del tutto volontaria rimessa alla discrezionalita' dello stesso lavoratore autonomo. Ne deriva che non appare in alcun modo ragionevole, oltre ad esser in evidente contrasto con la natura assistenziale dell'istituto, la previsione normativa del diritto all'attribuzione della quota del T.F.R. soltanto in favore del coniuge divorziato da un soggetto lavoratore dipendente, e non gia' a favore del coniuge divorziato da un soggetto imprenditore o libero professionista, i primi dei quali soltanto, peraltro, sono destinati a subire una decurtazione di parte del trattamento previdenziale loro spettante e del loro risparmio peraltro forzoso ed imposto per legge. B) Sotto il secondo profilo, va osservato che, secondo la giurisprudenza del tutto consolidata del S.C., il coniuge separato non puo' vantare alcun diritto in ordine al T.F.R. che venga percepito dall'altro coniuge in costanza di separazione e prima del divorzio, perche' la norma limita l'applicazione dell'istituto soltanto a favore dei soggetti il cui matrimonio risulti sciolto o cessato negli effetti civili in virtu' di sentenza passata in giudicato, sicche' la quota dell'indennita' di fine rapporto puo' spettare al coniuge separato al piu' allorquando al momento della maturazione del diritto sia pendente il procedimento di divorzio, per il principio di retrodatazione degli effetti della domanda, ma non gia' allorquando l'indennita' sia maturata e percepita in epoca anteriore alla pendenza del processo di divorzio (Cass. 1999/5553; Cass. 2003/19309). Emerge, quindi, un ulteriore profilo di incostituzionalita' della norma, cosi' come interpretata nel diritto vivente, che, non soltanto si pone in netto contrasto con la ratio compensativa dell'istituto in esame, ma che appare tanto piu' irragionevole, atteso che si esclude il coniuge separato dal godimento della quota del T.F.R. spettante all'altro coniuge, proprio in un momento storico in cui il matrimonio non e'ancora venuto meno, sicche' persistono alcuni obblighi di solidarieta' coniugale tra i coniugi sicuramente maggiori rispetto a quelli di mera solidarieta' post coniugale che residuano tra gli ex coniugi in seguito al divorzio. Non appare agevole, invero, giustificare lo snaturamento del rapporto di collaborazione economica dei coniugi, con conseguente esclusione delle reciproche aspettative patrimoniali nell'ipotesi in cui le somme percepite a titolo di T.F.R. siano maturate allorche' i coniugi sebbene non ancora divorziati siano gia' legalmente separati, tant'e' che la stessa Corte costituzionale, investita del problema in una prospettiva inversa a quella prospettata, ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalita', in quanto richiedente una pronunzia additiva su materia riservata alla discrezionalita' del legislatore (Corte cost. ord. 463/2002). Ne' in senso contrario appaiono risolutive le considerazioni relative all'eventuale esistenza del regime di comunione legale tra i coniugi, che e' destinato a sciogliersi, atteso che, a tacer d'altro, i coniugi in costanza di matrimonio possono liberamente optare per un diverso regime patrimoniale, sicche' il tipo di regime patrimoniale adottato dai coniugi resta del tutto neutro ed irrilevante rispetto alla denunziata disparita' di trattamento. Sussiste, quindi, una diversita' di disciplina normativa per situazioni che, ad avviso del Collegio, appaiono del tutto analoghe, con riferimento alla medesima categoria del tutto omogenea di soggetti obbligati, correlata ad un fatto del tutto casuale, qual'e' il momento storico della cessazione in concreto del rapporto di lavoro da parte del coniuge obbligato che puo' esser del tutto svincolato dalle vicende della crisi del matrimonio per le piu' disparate ragioni. Cio' premesso, osserva il tribunale che, in via gradata, anche il piu' limitato profilo d'incostituzionalita', espressamente prospettato dal resistente nel giudizio a quo, non appare manifestamente infondato. Va, invero, osservato che puo' profilarsi un ulteriore dubbio di costituzionalita' della norma in esame per violazione di tutti principi sopra evidenziati, anche con riferimento al piu' limitato problema relativo alla predeterminazione in misura fissa della quota dell'indennita' di fine rapporto spettante al coniuge divorziato titolare di assegno, e con riferimento all'interpretazione, ormai del tutto consolidata, del concetto di durata del matrimonio. Com'e' noto, per un verso, il legislatore ha predeterminato in percentuale fissa la misura dell'indennita', senza consentire alcun intervento correttivo al giudice di merito, cui resta inibito ponderare le contrapposte situazioni economiche dell'obbligato e del beneficiario, in contrasto con la finalita' assistenziale della norma, ed a differenza di quanto normalmente accade nella materia del diritto di famiglia, ove la tecnica normativa di regola utilizzata dal legislatore lascia ampio spazio alla discrezionalita' del giudice proprio a fronte della complessita' e varieta' dei casi concreti e della necessita' di ponderare eventuali contrapposte esigenze egualmente meritevoli di tutela giuridica (discrezionalita' particolarmente valorizzata da ultimo da Corte cost. 30 luglio 2008. n. 308). Ed e' altrettanto noto, per altro verso, che l'interpretazione assolutamente prevalente del concetto di durata del matrimonio e' nel senso di ricomprendervi anche il periodo, successivo alla cessazione della convivenza, che va dalla separazione sino al passaggio in giudicato della pronunzia di divorzio, sicche', - anche in considerazione della funzione nomofilattica attribuita al supremo Collegio, - non appare consentita al giudice di merito una diversa opzione interpretativa e costituzionalmente orientata. Ne deriva che, a fronte della predeterminazione in misura fissa della quota riferita, per di piu', anche al periodo successivo alla cessazione della convivenza, possono verificarsi ingiustificate parificazioni tra situazioni diverse, attribuendosi all'ex coniuge una percentuale dell'indennita' del tutto sproporzionata rispetto alla contribuzione alla conduzione della famiglia, specie laddove non siano nati figli dal matrimonio, - come e' avvenuto nel caso oggetto del giudizio a quo, - e situazioni di vero e proprio ingiustificato arricchimento del coniuge beneficiario a danno dell'obbligato, come ben puo' accadere laddove il divorzio venga pronunziato molto tempo dopo la separazione, - com'e' avvenuto anche nel caso oggetto del giudizio a quo, - ovvero nel caso in cui il beneficiario, contestualmente al maturare del diritto alla quota di T.F.R. venga a godere anch'esso del proprio T.F.R. o di qualunque altro incremento patrimoniale esterno. Situazioni che possono comportare un sottrazione al lavoratore dipendente, - e per quanto sopradetto soltanto a quest'ultimo, - di parte del suo trattamento previdenziale e del suo risparmio forzoso priva di giustificazione perche' svincolata dalla solidarieta' economica tra i coniugi e che appaiono suscettibili di trovare un correttivo soltanto meramente indiretto e parziale nella possibilita' di chiedere una riduzione dell'assegno di divorzio. Il tribunale non ignora che la questione di costituzionalita' dell'art. 12-bis prospettata dal Tribunale di Roma sotto un profilo del tutto analogo e' gia' stata sottoposta allo scrutinio di costituzionalita' e che la Corte costituzionale, chiamata a pronunziarsi sul denunziato profilo d'incostituzionalita' dell'art. 12-bis, legge n. 898/1970 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., ha dichiarato infondata la questione (Corte cost. sentenza n. 21 del 1991). In particolare, secondo tale ormai risalente pronunzia, poiche' la cessazione della convivenza non comporta immediatamente ed automaticamente il totale venir meno della comunione materiale e spirituale di vita, e poiche' il contributo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale e comune non solo non cessa con la separazione ma spesso esso aumenta, specie nel caso in cui al coniuge piu' debole siano stati affidati i figli con conseguente aumento della responsabilita' e venir meno di quella materiale collaborazione che poteva pervenirgli dall'altro coniuge, la disciplina dettata dall'art. 12-bis piu' volte citato si sottrarrebbe alla censure prospettate, in vista della prevalente funzione compensativa sottesa alla norma ed avendo il legislatore privilegiato esigenze di certezza ai fini della quantificazione della quota, potendo eventuali residuali situazioni di disparita' di trattamento trovare rimedio nella disciplina della revisione dell'assegno. Ritiene, tuttavia, il collegio che sussistano nuove ragioni per sottoporre allo scrutinio di costituzionalita' la norma piu' volte citata, non soltanto alla luce dell'evoluzione sociale ed economica verificatasi negli ultimi anni nel paese, ma soprattutto alla luce dell'evoluzione normativa registratasi nell'ordinamento italiano in seguito all'entrata in vigore della legge n. 54 /2006 in tema di affidamento condiviso della prole minore. Com'e' noto invero, dopo l'entrata in vigore della legge n. 54/2006 il regime ordinario di affidamento della prole minore e' quello dell'affidamento condiviso ad entrambi i genitori, in vista della tutela del c.d. diritto alla bigenitorialita' dei minori, che puo' esser derogato soltanto in presenza di specifiche ragioni ostative nell'interesse esclusivo della stessa prole minore. Entrambi i genitori sono, pertanto, oggi chiamati alla piena condivisione della responsabilita' nella cura ed educazione dei minori ed all'esercizio congiunto della potesta'. Ne deriva che buona parte delle ragioni sottese allo scrutinio di ragionevolezza della norma in esame, positivamente effettuato della Corte costituzionale nella pronunzia emessa nel 1991, - allorquando il caso paradigmatico era effettivamente costituito dall'affidamento esclusivo della prole minore alla madre quale coniuge piu' debole, - sono destinate a venir meno, essendo stato integralmente ribaltato dal legislatore del 2006 il criterio ordinario di affidamento della prole minore e dovendo ritenersi ormai quanto meno paritario il contributo dei coniugi, pur in costanza della crisi del loro matrimonio, alla cura ed alla responsabilita' nei confronti dei figli, dovere che, peraltro, trova diretto fondamento nel rapporto di filiazione piu' che nei doveri matrimoniali. Ne deriva che, specie a fronte del mutamento legislativo da ultimo verificatosi, sia la predeterminazione della quota in misura fissa sia l'ancorare al concetto di durata del matrimonio, come interpretato alla stregua del c.d. diritto vivente, la determinazione quantitativa della quota del T.F.R. spettante al coniuge, indipendentemente dalla possibilita' di qualsivoglia valutazione concreta del contributo effettivamente prestato alla conduzione familiare da parte del giudice di merito, non appare ragionevole. Conclusivamente, la questione di costituzionalita' dell'art. 12-bis, della legge n. 898/1970, per contrasto con gli articoli 3, 29, 38 e 47 della Costituzione, sotto tutti i profili prospettati, non appare manifestamente infondata ed il procedimento a quo deve essere sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per la decisione.